venerdì 9 gennaio 2009

Cambiano le prospettive al mondo

Venne la luce, e con essa il tempo di andare. Aprimmo gli occhi ed attendemmo i minuti necessari per vedere bene. Il freddo era sopportabile, lo era sempre, e l'aria era ferma, malsana. Il primo di noi partì, ed a mano a mano iniziammo a seguirlo, chi subito e chi dopo qualche secondo. Da qualche giorno, i primi secondi sembravano più difficili, i muscoli più legati, ma in breve il movimento tornò a mente con la solita fluidità.

Inizialmente, come spesso facevamo, ci dirigemmo verso il sole, ma durò pochi secondi, fummo poi costretti ad invertire la direzione per qualche attimo per poi dividerci, come era giusto. Ci saremmo riuniti, forse. Seguii quelli che erano con me nei cambi di direzione per molto tempo, qualche volta cambiai io la direzione, ma più spesso altri. Avrei dovuto farlo per molti mesi ancora.

L'aria era adesso pulita e scorreva su di noi. Si doveva andare a destra, qualcuno pensò, e dovemmo seguirlo tutti. Poi per un attimo fummo costretti a dirigerci verso il basso, dove camminava un uomo che ci guardava con aria da bambino.


Lo stormo di uccelli che stavo osservando per un attimo venne verso di me per poi continuare nella propria meravigliosa danza. Non smettevo mai di meravigliarmi come un bambino ai disegni fantastici che gli storni creavano in autunno. Chissà quale logica seguono le loro evoluzioni. Invidiai la loro libertà.

Mentre ero così assorto, mi tornò in mente la canzone di Battiato, dove le traiettorie degli uccelli sono "codici di geometria esistenziale" che "cambiano le prospettive al mondo". Desiderai ascoltarla, ma non era tempo per pensieri musicali.

Riconsiderai la mia situazione, avevo perso l'autobus per il centro di Tankshabad, e probabilmente non sarei arrivato in tempo all'appuntamento. E pazienza. Il problema vero era però che in quel momento mi sentivo completamente vulnerabile. A piedi, con la mia valigetta in mano, percorrevo una strada secondaria di un paese straniero. La popolazione era generalmente amichevole, però avrei senz'altro preferito essere già arrivato.

In quel momento sentii il rumore di un aereo della Emirates che stava decollando dal vicino aeroporto, mi volsi a guardarlo invidiando le persone che stavano comode nelle loro poltrone della business class, e che stavano tornando a casa.


Quel giorno rinunciai alla abitudine di chiudere gli occhi durante il decollo. Decisi che avrei guardato quella terra fino a quando sarebbe rimasta visibile. Mentre guardavo fuori dal finestrino, vidi un tizio con una valigetta in mano, in lontananza. Camminava con passo svelto in una strada vicino alla pista di decollo, sembrava un europeo od americano, e sembrava guardare il decollo. Lo immaginai con l'espressione di un bambino. Mi fece quasi tenerezza, e mi tornò la tristezza che avevo cercato di sopire con i tre bicchieri whiskey già bevuti. Lo invidiai, perchè lui sarebbe rimasto.

Una parte della mia vita sarebbe finita quel giorno, con quella partenza. Sapevo che non sarei più tornato e avevo timore di cosa mi avrebbe portato il futuro. Più di tutto mi spaventava la povertà. Non la povertà nei paesi come Oukbar, ma la povertà nei paesi come il mio.

Provai a scacciare quei pensieri riprendendo a leggere il libro di Henry James che avevo con me. Mi confortava quell'atmosfera senza tempo che si respira nei suoi racconti. Mi sembrava di viverle, le cerimonie del tè e le cortesie e falsità vittoriane. Mi piacevano quei viaggi che duravano settimane, e quel vivere improduttivo.

Azionai il pulsante per chiamare l'assistente di volo per un altro whiskey, avrei approfittato della business class fino al ridicolo. Vidi con la coda dell'occhio un aereo in lontananza che stava iniziando la manovra di avvicinamento all'aeroporto di Tankshabad e pensai alla fortuna dei piloti di aerei, che viaggiano sempre e girano il mondo in alberghi di lusso in mezzo a tante bellissime assistenti di volo. Loro possono sempre tornare, è il loro lavoro. Io non sarei più tornato ad Oukbar.


Il controllore di volo ci avvisò dell'aereo della Emirates che avevo sulla sinistra, con il suo accento barbaro: "...you have an Airbus A340 atchour 10 o' clokke...it shouldde be no fakketor" (Avete un Airbus A340 sulla sinistra, non dovrebbe creare problemi). E grazie, lo avevo visto già da me. Beati loro che se ne stanno andando da questo posto infame. Iniziai a provare il fastidio non appena entrato nello spazio aereo di Oukbar, sentendo l'accento dei controllori di volo. Mi venne da ridere pensando che affidavamo la nostra sicurezza a questi signori. Abbassai di un altro punto i flap e ridussi di poco i motori.

Avevo provato a farmi cambiare tratta già un anno fà, ma prima accontentano sempre i raccomandati. Continuammo la manovra di avvicinamento e completammo l'atteraggio come fosse in automatico, e ovviamente non lo era, perché figurarsi se quell'aeroporto da quattro soldi aveva l'ILS. Comunque, l'aver effettuato l'atteraggio in manuale, mi dispenso' per cinque minuti dal dover pensare a come far passare i tre giorni a Tankshabad.

Ignorai, come sempre, le indicazioni che l'ometto con le bandiere mi stava fornendo per dirigermi al parcheggio. Agitava le braccia per fare scena e guadagnarsi lo stipendio, un buono stipendio senz'altro per gli standard locali. Lo invidiai, lui in fondo apparteneva a quel posto, era la sua casa, per sudicia che fosse. E senz'altro ci stava bene.


Fornii le indicazioni necessarie al pilota del 777 BA742 da Londra, per poter parcheggiare l'aeromobile. I piloti mi sembravano come i guardiani del paradiso di Allah, che traghettavano i fedeli da una sponda all'altra. Invidiai il pilota per il suo accesso al paradiso che a me era negato.

mercoledì 7 gennaio 2009

Ccò' jaddu o senza jaddu Diu fa ghiornu

Come dice l'antico detto siciliano : Ccò' jaddu o senza jaddu Diu fa ghiornu (con il gallo o senza il gallo, Dio fa giorno).

Mi trovavo a Tankshabad, capitale di Oukbar, uno di quei posti in cui si va per lavoro, ma da cui non vedi l'ora di tornare. Erano le quattro di mattina ed a quell'ora infame, da queste parti, non si aspetta altro che il canto del Muezzin, per poter iniziare la giornata. A causa del fuso orario mal digerito, mi giravo e rigiravo tra le lenzuola per trovare un po' di pace. Dopo pochi minuti, avendo accertato l'inutilità dei miei sforzi, mi alzai per andare in bagno sperando che il Muezzin anticipasse il suo richiamo per la preghiera, l'adhān.

Tornato a letto che fui, dall'adempimento dei miei doveri corporali, approfittai di quei minuti di silenzio per ripassare a mente le tappe del viaggio per il ritorno a casa della sera: partenza da Tankshabad alle 22:00, arrivo a Dubai alle 1:22, partenza da Dubai alle 4:30 ed arrivo a Roma alle 7:30, partenza da Roma alle 9:20 ed arrivo a Catania alle 10:35. Da Catania avrei preso l'autobus per Fela della mattina (a che ora era?, avrei dovuto cercare su internet).

Finito ch'ebbi di ragionare sul viaggio di ritorno, stentai a trovare altri pensieri che mi potessero essere di aiuto per arrivare all'alba, così iniziai a guardarmi in giro. Nel buio pressoché totale della stanza non si vedeva quasi nulla, ma si sentiva il ronzio del condizionatore, di certo non manutenuto da tempo immemorabile, che contribuiva a quel puzzo di stantio cui non sarei mai riuscito ad abituarmi. Di fronte al letto si scorgeva appena un quadro di un qualche presidente o generale di Oukbar, di cui mi sfuggiva il nome, ma di cui si sarebbe presto recuperata la cornice per assecondare la foto di un più nuovo presidente o generale. Ancora non si sentiva il canto del Muezzin.

Improvvisamente mi salì in gola il sapore dei gamberi a ricordarmi che non era solo il fuso orario la causa di quella notte insonne. Mi maledii per aver acconsentito a mangiare i gamberi per fare contento un collega locale, in un posto a più di mille chilometri dal mare. Dopo tanti anni di viaggi mi sarei senz'altro atteso maggiore saggezza da me stesso. Non mi piacciono neanche, i gamberi. Il canto del Muezzin non arrivava, e mi girai dall'altra parte.

Provai a pensare alla giornata di lavoro che mi attendeva, per distrarmi. Ormai il più era fatto, non rimaneva che accomiatarsi dai capoccioni locali con sorrisi, strette di mano e gli immancabili abbracci. Non importa se ti amano o ti odiano, ti avrebbero abbracciato comunque, e con il sorriso sulle labbra. Ipocriti, ma gentili. Forse li preferisco così. L'ambiente che mi aspettava al ritorno sarebbe stato diverso: cazziatoni alla minima mancanza. Per un attimo valutai l'ipotesi di chiedere un trasferimento e di rimanere a Tankshabad. Durò solo un secondo, il pensiero di non vivere sul mare spense ogni vago desiderio di rimanere.

Ripensai alle vie squallide della città, alla corrente che mancava per metà del tempo, al calore infernale dell'estate ed all'infame vento del nord dell'inverno, ed ogni attaccamento ad Oukbar si spense, ma come avevo potuto prendere anche solo in considerazione l'ipotesi?

Considerato che il Muezzin ancora non interrompeva la mia ultima notte ad Oukbar, allungai la mano verso il comodino per prendere l'iPod per ascoltare un po' di musica. Come sempre lo impostai per una riproduzione casuale dei brani. Il primo brano selezionato fu una interpretazione di Glenn Gould del Contrapunctus I, credo dall'arte della fuga di Bach, suonata al pianoforte. Rimasi incerto per qualche secondo, abituato com'ero ad ascoltarla suonata all'organo. Dopo le prime quattro incerte note ne riconobbi il tema e mi abbandonai sereno al dormiveglia nel conforto del pianoforte. Sperimentai uno di quei rari momenti in cui la musica sfiora l'animo umano e ne percuote le corde. Avrei per sempre associato quel motivo, che molti sostengono che si tratti di uno dei vertici più alti che la composizione musicale abbia mai toccato, per di più suonato da uno dei migliori interpreti di Bach, a quella ultima notte a Tankshabad. Tornai in me intuendo le ultime note del brano con Gould che, come spesso faceva, accompagnava le dita con la voce. Le ultime note rimasero per qualche secondo nell'eco dello studio di registrazione, riprodotto nelle mie cuffie, e quasi proiettato nel buio della stanza.

Inveii contro il destino cinico e baro quando sentii l'inizio del brano successivo, un pop italiano fiore-cuore-amore, frantumare il nirvana che mi ero creato. Mi tolsi le cuffie e tornai a desiderare il canto del Muezzin, che pure non arrivava.

Ripresi a domandarmi come far passare i minuti che restavano, accesi il lume e vidi la copia del libro di Marquez che stavo leggendo. Non mi entusiasmò l'idea di leggere Marquez alle quattro della mattina, ma qualcosa dovevo pur fare. Ripresi a leggere da dove avevo lasciato il giorno prima. Mi infastidì la trama, avrei voluto poter intervenire, avvisare l'arabo del racconto che lo volevano uccidere. Perché i cosiddetti "grandi autori" non sono mai lineari nei loro racconti? Pensai che la boria non gli permettesse di assecondare l'immaginazione dei lettori, ma volessero sempre torturarli con stranezze varie. Pensai che in altri orari ed in altri luoghi avrei potuto gradire, ma non lì, e non a quell'ora. Desiderai Alistair MacLean e Micheal Crichton. Continuai a leggere senza capire per qualche minuto finché, innervosito con l'universo creato, non spensi nuovamente la luce, includendo il Muezzin ritardatario nelle mie lamentele.

Ormai sfinito, e senza idee, iniziai a ripassare l'adhān, dentro di me, ormai imparato a memoria a furia di sentirlo, per propiziarne l'inizio.

Allāhu Akbar - Allāhu Akbar - Allāhu Akbar - Allāhu Akbar (Dio e' il piu' grande)

Questa era una formula che conoscevo bene perché i miei colleghi musulmani la usavano spesso, anche come saluto o invocazione.

A Fela conoscevo un signore gentile, ormai anziano, e che per la verità non vedevo più da anni, che usava un'espressione in qualche modo simile, anche se non esattamente equivalente. Ogni volta che gli chiedevo come stava mi rispondeva: "Abbastanza bene, a Dio piacendo". Riprovai improvvisamente ed inaspettato il senso di tenerezza che provavo tutte le volte che lo incontravo. Sperai di rincontrarlo, a Dio piacendo.

Ašhadu anilāh illā Allāh - Ašhadu anilāh illā Allāh (Sono testimone che non vi e' alcun dio all'infuori di Iddio)

Arrivato a questo punto mi chiedevo sempre di quale dio si parlasse. A volte sembrava che ognuno pregasse il suo dio esclusivo, gli nascondesse dietro le sue manie e fobie per poi difenderlo, e difenderle, a spada tratta a colpi di missili e grattacieli venuti giù.

Un prete, in un paese lontano da Roma, molti anni fa mi spiegò che Dio non c'entrava niente con queste beghe e che coltivava i suoi amati di tutte le razze e religioni per costruire un mondo nuovo. Mi tornò in mente la serenità che le sue parole mi donarono allora.

Ašhadu anna Muhammadan Rasul Allāh - Ašhadu anna Muhammadan Rasul Allāh (Sono testimone che Muhammad e' il Profeta di Allah)

Mentre ripassavo il canto, a questo punto, mi resi conto del significato dell'invocazione e decisi vagamente che avrei letto qualcosa sulla vita di Maometto, al di là di Fox News ed Al Jazeera. Nell'attimo stesso in cui lo pensai capii che non l'avrei fatto e me ne pentii.

Hayya ‘alā s-salah -Hayya ‘alā s-salah (Affrettatevi alla preghiera)

Pensai a mia Nonna, che tutte le mattine si affrettava alla preghiera, ed a come ne soffriva se non riusciva a spendere i suoi venti minuti quotidiani a parlare con Dio. Quando ero molto piccolo mi portava con . Andai con lei fino all'età in cui ti convinci che queste sono cose per bambini o per vecchi. Ripensai all'odore di incenso, di marmo chiaro e luci soffuse che si respirava nella chiesa madre di Fela, di fronte alla piazza.

Poi ripensai ai cannoli della pasticceria vicina e mi meravigliai di come la mente possa passare dal sacro al profano in pochi istanti.

Hayya ‘alā khayr al-amal - Hayya ‘alā khayr al-amal (Affrettatevi all'opera migliore)

Mi ricordai che questa parte viene cantata solo dagli sciiti, separati dai fratelli sunniti da millenni di odio e molti omicidi. Pensai alla festività della Āshūrā, cui gli sciiti aggiunsero la commemorazione del martirio dell'Imām Husayn che fu trucidato con tutto il suo seguito familiare nella Battaglia di Kerbelā, ove centinaia di migliaia di pellegrini, vestiti di bianco, si mortificano in pubblico fino a far scorrere il proprio sangue. Mi chiesi, cinicamente, la percentuale di persone che nell'occasione provano dolore vero, rispetto a quelli che si limitano ad ostentarlo.

Hayya ‘alā l-falah - Hayya ‘alā l-falah (Affrettatevi alla salvezza)

Pensai, egoisticamente, che sarei partito quella sera, dovevo solo aspettare il Muezzin e far passare la giornata, per arrivare alla mia piccola salvezza, la business class della Emirates.

Mi vergognai del basso pensiero ricordando alcune delle mille strade che l'uomo ha percorso per avvicinarsi alla elusiva "salvezza". Mi vennero in mente i dervisci roteanti dell'Ordine Sufi dei Mevlevi, che praticano la danza turbinante come metodo per raggiungere la salvezza. Abbandonano il proprio ego ed i propri desideri pensando a Dio e roteando in guisa di pianeti attorno al loro Sole.

Poi mi venne in mente Simeone lo stilita, che passo' 37 anni su di una colonna a pregare Iddio.

Allāhu Akbar - Allāhu Akbar - ilāh illā Allāh - (Non vi e' alcun dio all'infuori di Iddio)

Mentre cantavo dentro di me gli ultimi versi, mi resi conto che la luce entrava dalle persiane: era l'alba ed il Muezzin non aveva cantato!

Sentii l'ordine millenario del mondo come capovolto. Mi affrettai alla finestra per capire. Affacciatomi, vidi decine di altre persone che si affacciavano o uscivano per strada con aria meravigliata ed incerta.

Il Muezzin non aveva cantato quella mattina.