martedì 24 dicembre 2013

La violenza nel ventunesimo secolo

A Carlo mancavano due settimane alle ferie, al ritorno a casa - sebbene per sole tre settimane. Un altra serata da fare passare nella noiosissima Oukbar. Fortunatamente gli avevano installato l'antenna satellitare qualche settimana prima, ma il piacere dei primi giorni si era appena appannato di una certa amarezza nel constatare la ripetitivita' e monotonia delle trasmissioni trasmesse sui canali RAI via satellite. Certo, ogni trasmissione RAI era nettamente migliore delle alternative disponibili in precedenza - i canali in lingua locale, accessibili con le normali antenne terrestri. In precedenza, l'unica serata passabile - per dirla tutta, Carlo ammetteva di averla attesa quasi con piacere - era il Venerdì, il giorno del campionato di calcio. Non riusciva a capire la cronaca degli esagitati giornalisti sportivi locali, ma il gesto atletico è, fortunatmente, internazionalmente comprensibile.

Oggi avrebbe provato a seguire un dibattito (talk show?) su "La violenza nel ventunesimo secolo". Niente di meno. Sempre meglio delle alternative: una partita di biliardo e la quarta replica di una puntata del commissario Montalbano - la prima l'aveva vista con grande piacere, la seconda con piacere, la terza, beh... Normalmente avrebbe seguito la partita di biliardo, ma il professore presente al dibattito - ne ricorda il viso ma non il nome - gli era risultato gradevole ed arguto in qualche trasmissione passata.

Mancano alcuni minuti all'inizio della trasmissione ed i pensieri di Carlo si orientano verso il tema proposto: la violenza, oggi. Prova, in qualche modo, a immaginare i filoni possibili di discussione - immaginandosi implicitamente ospite della trasmissione egli stesso. Si immagina mentre ragiona su questi tempi particolarmente violenti, prova a rammentare alcuni episodi emblematici a lui accaduti. Inizialmente non gli viene in mente nulla - possibile?

Prova ad andare a ritroso nel tempo - ecco che qualcosa prende forma! Si ricorda del suo litigio di qualche mese fa con la maestra di Mattia, il suo unico figliolo. Immagina se stesso raccontare agli altri ospiti della trasmissione di come la maestra Martina, questo il suo nome, avesse dato un brutto voto a Mattia, di come il piccino fosse tornato a casa piangendo. Quando la madre gli chiese cosa era successo, Mattia raccontò di come la maestra gli avesse affibiato un brutto voto al problema di matematica - nonostante il risultato fosse uguale a quello di altri bimbi che avevano preso voti migliori. Solo il pensiero del litigio con quella acida maestrina gli fece salire la pressione in maniera percepibile. Insomma, come si può traumatizzare ed umiliare davanti ai suoi compagni un povero bimbo con un brutto voto senza avere forti e chiare motivazioni, tra l'altro ad un bimbo che è abituato a prendere buoni voti. Ammesso che la risoluzione del problema fosse sbagliata - e non lo era, dato che il risultato era lo stesso degli altri bimbi - l'antipatica maestrina dovrebbe sapere che i bimbi vanno incoraggiati, non umiliati inaspettatamente in questo modo. Il ragionamento offerto dalla acida maestrina era che da Mattia si attendeva di più, e lo aveva deluso. Come se questo fosse un buon motivo per umiliarlo davanti agli altri bambini e agli altri genitori. Soddisfatto con se stesso del suo ragionamento,  immagina se stesso concludere il discorso davanti agli altri ospiti del programma con trascinante foga oratoria. Immagina gli altri ospiti dargli ragione, ed esprimere unanime disprezzo verso l'acida maestrina. Poi immagina il professore, di cui ancora gli sfugge il nome, sottolineare come la violenza attuale, i delitti, le guerre, nascano proprio da questi comportamenti scorretti di chi dovrebbe educare i nostri piccini.

In quel momento, i pensieri di Carlo vengono riportati alla realtà dalla sigla di inizio della trasmissione. Il conduttore, Giuseppe Bipso, introduce gli ospiti con la consueta affabilità (Stefano Rosatore, ecco come si chiama il professore!). Un breve documentario di copertina introduce il tema. Naturalmente, il titolo altisonante serve solo a dare decoro al talk show (dibattito?). Ciò che veramente si vuole, è dare in pasto al pubblico ulteriori macabri dettagli sull'ultimo fatto di violenza, accaduto qualche giorno fa.

Il fatto era ormai noto nei suoi dettagli perfino a Carlo, a circa settemila chilometri di distanza dall'Italia. Nelle sue linee essenziali, e nella sua tragicità, era un evento che sapeva di già sentito. Un uomo sui cinquant'anni, ancora non identificato con certezza (probabilmente il marito - separato da qualche mese) aveva ucciso una donna (la moglie?), la di lei madre (la suocera?) e la figlia, prima di suicidarsi. Inizialmente i sospetti erano caduti su un immigrato clandestino, ma presto è sembrato chiaro che il furto per cui l'immigrato era stato immediatamente sospettato, era più simulato che reale. Il fatto era noto come la strage di Torchiarolo, che ormai sapevano tutti essere in provincia di Brindisi. La giornalista che aveva registrato la copertina si soffermava sui particolari più truculenti, le macchie di sangue in casa, le urla sentite dai vicini. Se il telecomando non fosse stato sul tavolino, poco al di là del raggio di azione delle sue mani, a questo punto Carlo avrebbe cambiato canale, rifugiandosi nella partita di biliardo. Il documentario di copertina, fortunatamente, arriva presto alla fine, ma l'ultima frase pronunciata dalla giornalista risuona, nella sua banalità, come campane a morto.

"La violenza, ormai, è un aspetto emblematico e un elemento costante del vivere moderno."

A questo punto Carlo inizia a muoversi per raggiungere il telecomando, quando il conduttore - prendendolo in contropiede - invece di dare la parola, per i primi commenti, al Politico o al Direttore di Giornale, la da al Professore. Carlo torna quindi a sedersi. Il Professore guarda Bipso con sorpresa per un attimo - credo si aspettasse di parlare verso la fine, come al solito quasi in seconda serata - ma si riprende immediatamente ed inizia il suo ragionamento.

"Caro Bipso, non sono d'accordo su quanto detto in copertina, il nostro tempo è il periodo meno violento di cui si abbia notizia."

Dopo questa affermazione, opinionisti, giornalisti e veline presenti si agitano sulla sedia mostrando ampiamente il loro disaccordo - ma anche i talk show hanno i loro tempi e la loro etichetta: ancora è presto per le grida e gli insulti, deve passare almento qualche minuto. Il Professore, allora, continua il suo ragionamento.

"Guardi, oggi seguiamo con curiosità morbosa ma sicuramente anche con pietà e dolore i macabri particolari sull’omicidio di una donna da parte - forse - del marito o forse di un estraneo malfattore. I particolari che più ci richiamano alla mente la violenza stessa, il sangue, i segni della colluttazione, provocano in noi un intenso malessere. Il pensiero di una signora anziana e - peggio - di una bambina, private del bene della vita ci riempiono di rabbia. Non è sempre stato così.

Siamo troppo vicini ai fatti per poterli serenamente valutare. Stragi, omicidi, stupri: ci sentiamo assaliti da tutte le parti. Ma è solo perché le buone notizie non fanno notizia. Nemmeno quella migliore di tutti, ovvero che viviamo nel periodo storico più pacifico di ogni tempo. Se assumessimo una prospettiva più di lungo termine ci renderemmo conto che le stragi di oggi sono niente rispetto all’ordinaria violenza di ieri.

Per capire, potremmo provare a vedere - e vivere - quello che vedevano e vivevano alcuni personaggi di qualche tempo fa. Come esempio, vi racconto quello che Samuel Pepys, uomo enormemente colto, ricordato da un suo contemporaneo come «universalmente amato, ospitale, generoso, istruito in molte cose», annotava nel suo diario. Il diario del Pepys gode di una certa fama, perché in esso egli registrò la sua vita quotidiana per quasi dieci anni, con grande onestà; le donne cui corse dietro, i suoi amici, i suoi affari, sono tutti minuziosamente descritti. Il suo diario rivela le sue gelosie, insicurezze, preoccupazioni, e la sua relazione irritabile con la moglie. È un fondamentale resoconto della Londra degli anni 1660 - i suoi usi e costumi, anche nella vita di tutti i giorni.

Bene, in questo diario il Pepys descrive, non senza una certa ironia, le incombenze della giornata, tra le quali quelle di aver visto un certo generale maggiore Harrison impiccato e squartato e, mentre questo avveniva, di averlo trovato «allegro quanto può esserlo qualsiasi uomo in quelle condizioni». Pepys racconta come la testa e il cuore del poveraccio siano stati mostrati al pubblico e che, a quel punto, vi siano state molte grida di gioia dalla folla presente…

Il Pepys continua il suo diario raccontando di essere subito dopo andato, con una certa serenità, con degli amici alla taverna per offrire loro delle ostriche. Molti di noi andrebbero dall'analista per anni dopo uno spettacolo del genere...

Per rimanere in Inghilterra, e per dare una misura di come la violenza vera, fisica, al di là della finta eleganza dei film in costume e delle carinerie dell'impero britannico, fosse parte integrante della società basti sapere che nel 1822 in Inghilterra i reati punibili con la morte - una morte violenta, non una punturina - erano oltre duecento, tra cui il bracconaggio, la contraffazione, il furto di una conigliera o l’abbattimento di un albero - forse alcuni ambientalisti radicali ripristinerebbero volentieri la pena capitale per salvare gli alberi" 
 
A questo punto, e a questa utima battuta, gli altri invitati, quasi sorpresi e presi in contropiede dall'inatteso ragionamento del Professore, sembrano riprendersi ridacchiando. Il Professore, però, riprende il ragionamento prima che qualcuno possa intervenire mutilando il dipanarsi logico del suo discorso. Carlo sembra ascoltare con attenzione. 

“Vi fornisco solo alcuni esempi di come la violenza fosse usata nel passato, anche recente.

Iniziamo dalla tortura. La tortura fu usata comunemente fino al 1750 per estorcere confessioni - perlopiù false – rilasciate proprio per far cessare il dolore provocato dai torturatori. Quando parliamo di tortura intendiamo sofferenze indicibili, corpi dilaniati, bruciati, tagliati – non vado oltre per non ferire la sensibilità del pubblico.

Passiamo alla schiavitù. Fin quasi al secolo scorso, la schiavitù era usanza comune, anche a seguito di semplici debiti non pagati. Fu abolita formalmente solo da una decina di governi prima del 1800, l’ultimo governo ad renderla un crimine è stata la Mauritania nel 2007. Solo da allora è ufficialmente illegale in tutte le nazioni.

Consideriamo la violenza sui minori.

Qui Carlo si rianima, fiero al pensiero che il Professore in qualche modo possa proporre il ragionamento che l'aveva visto - nella sua immaginazione - protagonista della trasmissione poc'anzi.

In un’epoca in cui ci sconvolgono il bullismo, una parola fuori posto di un insegnante o una sculacciata, forse non abbiamo idea di come venissero cresciuti ed educati i più piccoli nel passato: la punizione corporale violenta è stata la norma per secoli. Oggi i maestri andrebbero in galera per le punizioni (o torture?) che propinavano agli studenti dell’800; lasciati in ginocchio sui ceci, presi a bacchettate sulle mani o a colpi di chinghia. Nell'800 in Inghilterra una bambina di sette anni fu impiccata per aver rubato una sottoveste.

Arriviamo a tempi più recenti. Nei civilissimi Stati Uniti, negli anni 60 - 1960! - esistevano ancora università dove gli studenti di colore non potevano studiare. Negli stati del sud vi erano ancora in quegli anni casi di linciaggi su base raziale, con vittime di colore. La Dichiarazione universale dei diritti umani risale al 1948 – alcuni di noi qui in studio nacquero in quegli anni, non parliamo di secoli fa.

Per passare ad esempi più vicini a noi, in Italia, sino a pochi decenni fa, il delitto d’onore era sanzionato con pene attenuate rispetto all'analogo delitto di diverso movente. Il marito tradito aveva quasi diritto di ammazzare la moglie adultera. Le disposizioni sul delitto d'onore sono state abrogate nel 1981. A titolo di chiarimento sulle mentalità generali dell’epoca (e parliamo di pochi decenni fa), va detto anche che contemporaneamente vigeva l'istituto del "matrimonio riparatore", che prevedeva l'estinzione del reato di violenza carnale nel caso che lo stupratore di una minorenne accondiscendesse a sposarla, salvando l'onore della famiglia. E se la ragazza non era d’accordo, pazienza. Anche questa norma fu abrogata nel 1981.

Ma perché fatichiamo a credere di vivere in tempi meno violenti, perché non percepiamo questa rivoluzione? Perché continuiamo a stracciarci le vesti e a ripetere la litania della società violenta dei tempi moderni – come quasi ci stessimo allontanando presunta epoca d’oro di pace e serenità...

Qui la colpa è in parte nostra, dei giornalisti e dell’informazione globale, come dice un famoso psicologo canadese:  «Non importa quanto la percentuale di morti violente possa essere bassa, ce ne saranno sempre abbastanza da riempire i telegiornali» e, aggiungerei io, da sconvolgere la nostra percezione.”


Il conduttore si guarda in giro, ansioso di avere una replica vigorosa - possibilmente collegata al recente fatto delittuoso citato in copertina. Il Politico evita il suo sguardo fingendo di riflettere. Il Direttore di Giornale si gira come se l’avesse chiamato qualcuno. La velina, che non ha avuto la prontezza di spirito di volgere lo sguardo altrove, ricambia lo sguardo – ma con un’espressione confusa di chi non sa cosa dire. Il Giornalista scuote vigorosamente la testa per esprimere dissenso, ma finge subito dopo un attacco di tosse. Il conduttore fa partire la pubblicità.

Nel frattempo, nella stanzetta ad Oukbar, Carlo giace morto nella poltrona, come addormentato. Un frammento di parete arteriosa gli ha occluso un vaso celebrale.


Riferimenti bibliografici: