lunedì 27 dicembre 2021

In principio erat Verbum

Devo alla strana biblioteca di mio nonno, ed al principio aleatorio con cui scelgo le mie letture, la riscoperta del linguaggio mitologico di Oukbar. Mio bisnonno, dal quale mio nonno ha ereditato parte della sua biblioteca, è stato uno semiologo, orientalista, scrittore, politico e divulgatore scientifico italiano, nominato senatore del Regno d'Italia nel 1912. Ogni famiglia crede di avere avi famosi, io ne avevo le prove: il mio bisnonno ha un suo articolo su Wikipedia.

Rampollo di un’antica famiglia, era il terzo di nove figli. Il padre (mio trisavolo) fu nominato docente di medicina veterinaria da Vittorio Emanuele I presso l'Università di Torino, Direttore della prima Scuola di Veterinaria in Venaria Reale e responsabile dell'allevamento dei cavalli di corte presso la tenuta "La Mandria" di Venaria Reale.

Il mio bisnonno si iscrisse a 17 anni alla facoltà di Medicina dell'Università di Torino. Laureatosi in medicina il 12 agosto 1876, esercitò per qualche tempo la professione a Torino, per poi viaggiare ed esercitare la professione in vari paesi orientali, tra cui l’Egitto, la Persia ed Oukbar. In seguito alla morte della moglie, ritornò in patria nel 1899, e si dedicò alla semiologia, seguendo le tracce e gli insegnamenti del linguista ginevrino Ferdinand de Saussure, dai quali però si discostò nettamente dopo un decennio circa. 

Mio nonno prese una direzione diversa e divenne ingegnere civile, professione che svolse con successo per tutta la vita. In un certo senso, però, seguì le orme del padre, e si interessò di linguistica e semiologia anche lui, in modo disordinato per il suo personale piacere e per la profonda amicizia che lo legava al professor Alessandro Bausani, finissimo islamista, arabista, iranista, semiologo, glottoteta nonché storico delle religioni. Amava estendere le sue letture a tutte le discipline contigue. Quando gli si chiedeva conto delle motivazioni di questo originale interesse, rispondeva con l’incipit dal Vangelo secondo Giovanni: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. 

Il libro si intitolava The Language Cyclopedia (New York, 1917), un volume molto elegante e ben conservato, in brossura. Il fatto avvenne cinque anni fa. Avevo cenato con il mio caro amico Cesare Baggini-Sforza e come al solito, ci soffermammo a discutere di filosofia pratica, e soprattutto di filosofia della mente muovendoci tra il materialismo evoluzionista più sfrenato di Daniel Dennett ed il dualismo o quasi-dualismo dei suoi detrattori. 

Allora Cesare ricordò che nella Cyclopedia si citavano le madras semi-eretiche di Oukbar, dove si insegnava un sincretismo che univa la tradizione induista e quella islamica che vedeva nella parola e nel linguaggio il mezzo di unione tra i due poli del dualismo classico, lo spirito e la realtà materiale.

Nella tradizione induista, la parola ha un potere creativo, proponendo che il mondo sia stato creato attraverso il potere del suono. Questa credenza si basa sull'idea che la realtà ultima, conosciuta come Brahman, è una singola, eterna e infinita coscienza. Secondo questa credenza, l'universo fu creato quando Brahman si manifestò come suono, che poi si manifestò come il mondo materiale. La sillaba sacra "Om", scritta anche come "Aum", è vista come il suono primordiale da cui è emerso l'universo. Nell'induismo, Om è considerato il più sacro e potente di tutti i mantra, e si ritiene che contenga al suo interno l'essenza di tutta la creazione.

Nella tradizione islamica, il Corano è considerato la parola letterale di Dio, ed è scritto in lingua araba. La lingua araba è vista come la lingua del Corano, e come tale, è considerata una lingua sacra e speciale. Una ragione per questo è che nell’Islam si crede che il Corano sia la parola di Dio come è stato rivelata nella sua forma originale araba. I musulmani credono che il Corano sia stato rivelato al profeta Maometto in lingua araba, e che sia la rappresentazione più accurata e completa del messaggio di Dio. 

Il sincretismo delle madras del vecchio regno di Oukbar univa queste due visioni in un’architettura concettuale che vedeva nelle parole, e nello specifico, nelle parole in Arabo del Corano, un potere creativo, che, se pronunciate opportunamente, permetteva il transito tra il mondo spirituale e quello materiale. Il potere delle parole era visto nel suono, quindi slegato dal significato concettuale che le parole potessero avere. Era perciò essenziale conoscerne la pronuncia originale, ricercare quelle inflessioni originali che sprigionavano le possibilità creative.

A partire da questa premessa si svilupparono diverse comunità segrete con i loro “dialetti”, intesi come evoluzioni di pronuncia, protese alla ricerca del suono creativo originale di ogni parola. Queste comunità generarono una babele di dialetti sacri, diversi tra loro, ma con intere comunità pronte a difendere a spada tratta la sacralità ed il potere creativo del proprio dialetto. I tentativi andarono oltre le singole parole, e si consolidarono in una scuola, la scuola di Tankshabad, che asseriva di avere identificato il suono originale di tutte le parole necessarie a creare interi mondi. Naturalmente occorrevano riti di iniziazione ed anni di perfezionamento spirituale per avere accesso ai cerchi inferiori ed alle prime parole sacre.

Come spesso accade, un rumore proveniente dalla stanza dei ragazzi, probabilmente un videogioco, ci riportò ad una prosaica modernità. Fu Cesare il primo a fare la connessione tra passato e futuro: chissà come si creano i mondi virtuali, se ci sono linguaggi che li creano. Fu per me un invito a nozze, visto il mio mestiere di docente universitario di ingegneria del software. Iniziammo a parlare di metaverso, e di come alla base ci sia sempre un linguaggio (di programmazione) che lo definisce, lo crea e ne stabilisce le regole. Forse esagerai nel snocciolare le mie competenze in materia, ma un piccolo eccesso di vanità è il più comune dei peccati. 

Il termine "metaverso" è stato coniato dall'autore fantascientifico Neal Stephenson nel suo romanzo del 1992 "Snow Crash", ed è stato usato per riferirsi a una vasta gamma di ambienti virtuali, tra cui giochi multiplayer online, esperienze di realtà virtuale (VR) e applicazioni di realtà aumentata (AR). Il metaverso è un concetto che si riferisce a un mondo virtuale che esiste al di fuori della realtà fisica, in cui gli individui possono interagire e comunicare attraverso avatar o altri personaggi digitali. Il metaverso può includere mondi virtuali come Second Life, giochi online, simulazioni, spazi virtuali di socializzazione e altre piattaforme digitali in cui le persone possono esplorare, creare, comunicare e socializzare. Il metaverso è anche stato descritto come un'estensione della realtà fisica, in cui le persone possono esplorare e interagire con il mondo virtuale utilizzando tecnologie come la realtà aumentata o la realtà virtuale. Inoltre, il metaverso può includere anche mondi virtuali basati su blockchain, che sono stati progettati per essere decentralizzati e distribuiti in modo che gli utenti possano interagire con essi senza dipendere da un'autorità centrale.

Cesare, non senza sforzo, cercò di introdursi nel mio delirio di sapienza per tornare al punto iniziale: il linguaggio e le parole.

Non era esattamente il mio campo, ma sapevo che i linguaggi usati più comunemente per creare realtà (virtuali) includono i tradizionali C++, C# e Python fino ai più moderni Unity e Unreal engine.

Ci prendemmo una breve pausa, per bere un sorso, e riflettere sull’importanza del linguaggio e delle parole attraverso i secoli. 

Cesare, nonostante l’ora tarda, si lanciò in un nuovo filone di pensiero. Mi spiegò, da appassionato di filosofia, psicologia e quindi di linguaggio, qual’era, come il modo in cui le diverse lingue trasmettono informazioni ha affascinato linguisti, antropologi e psicologi per decenni. Mi disse come il modo in cui le lingue esprimono diversi concetti, come il genere, il tempo e lo spazio, influenzava il modo in cui le persone che le parlano pensano al mondo. 

Mi fece un paio di esempi illuminanti. Per la maggioranza delle persone, le parole che rappresentano le posizioni degli oggetti le rappresentano in modo relativo – ed egocentrico, mettendo la persona al centro. Cioè, gli oggetti e le persone esistono a sinistra, a destra, davanti e dietro di noi. Ci muoviamo avanti e indietro in relazione alla direzione sulla quale ci stiamo muovendo. 

Una tribù aborigena del Queensland settentrionale, l'Australia, chiamata Guugu Ymithirr, utilizza un approccio completamente diverso. Usano indicazioni cardinali per esprimere informazioni spaziali. Quindi piuttosto che dire "puoi spostarti alla mia sinistra?", direbbero: "Puoi spostarti ad ovest?".  Il linguista Guy Deustcher dice che i diffusori Guugu Ymithirr hanno una sorta di "bussola interna" che è impressa fin da giovanissimi. Allo stesso modo in cui i bambini di lingua inglese imparano a usare i concetti di destra e sinistra quando parlano, così i bambini di Guugu Ymithirr imparano ad orientarsi lungo linee di bussola, non rispetto a se stessi. I membri di questa tribù aborigena hanno una fantastica memoria spaziale e capacità di navigazione, probabilmente perché la loro esperienza di un evento è così ben definita dalle direzioni in cui ha avuto luogo. 

Un altro esempio di linguaggio che plasma la realtà è dato dallo studio sulla lingua del popolo Pirahã. I Pirahã sono una tribù indigena del Brasile che vive lungo il fiume Maici, nella regione delle Amazzoni. La loro lingua è considerata una delle lingue più complesse e strutturalmente uniche al mondo, e ha attirato l'attenzione degli studiosi di linguistica per le sue particolarità e la sua complessità.

Una delle caratteristiche più interessanti del linguaggio dei Pirahã è che non utilizza il concetto di passato, presente o futuro. Invece, i Pirahã descrivono gli eventi in base alla loro percezione della loro immediatezza. Ad esempio, se un evento è percepito come lontano nel tempo, viene descritto come "lontano" o "non ancora accaduto". Inoltre, il linguaggio dei Pirahã non ha parole per i numeri o per i colori. I Pirahã contano utilizzando le dita o gli oggetti di riferimento, e descrivono i colori in base alle loro proprietà fisiche, come "chiaro" o "scuro".

Il fatto che il linguaggio dei Pirahã non utilizzi il concetto di passato, presente o futuro sembrerebbe avere un effetto sulla loro percezione del tempo e sulla loro capacità di pianificare il futuro. Inoltre, il fatto che non abbiano parole per i numeri o per i colori sembrerebbe influire sulla loro capacità di eseguire calcoli e di distinguere tra i colori. In un esperimento, ai Pirahã sono stati mostrati file di batterie, e gli si è chiesto di replicare le righe. Sono stati in grado di ricreare solo le righe contenenti due o tre batterie, ma non quelle con un numero superiore. In altre parole, i Pirahã, presumibilmente, non potrebbero sviluppare un sistema matematico o un’economia di ...

Dopo avermi chiamato inutilmente per mezz’ora, mia madre aveva iniziato ad urlare. In effetti era prevedibile, ma avevo appena iniziato con il nuovo videogioco e volevo continuare. Spensi il computer mentre Cesare Baggini-Sforza, il personaggio del videogioco, amico di Nathan Croft, il protagonista dell’action-adventure Nathan’s Quests: The Mythical Language della MikaSoft, stava parlando con Nathan elaborando l’antefatto che spiegava in cosa consisteva il gioco.

Avrei continuato a giocare dopo.